Life Line

Mentre si osserva la serie Life Line vengono in mente alcune opere di Alberto Burri. Le combustioni, le plastiche, i catrami, i cretti… opere che nascono dalla manipolazione e dalla modifica di alcuni materiali artificiali per farli diventare quasi organici. Opere dove i colori e gli elementi diventano materici, dove i materiali sono prelevati dal quotidiano e da un quotidiano impegnato e dedito al lavoro. Nelle fotografie di Bonaldo, invece, sembra quasi che l’organico lasci spazio a qualcosa di statico. Qualcosa che prima era vivo e prolificava lungo una sua via non calcolata e libera da vincoli, ora viene immortalato nel suo essere traccia, racconto del passato, fossile di vita. Il soffio del tempo continuerà comunque a passarci sopra, ma l’impronta rimane la stessa; il percorso immutato è oramai diventato storia. La serie racconta la metafora della vita, proponendoci immagini quasi geometriche di forme vegetali che hanno attecchito su muri, lamiere o luoghi ostili alla vita. Di alcune si vede la presenza, mentre di altre solo la traccia ben definita di un’esistenza intrecciata e ramificata che ora non c’è più, ma di cui vediamo i segni tangibili, come di alcune persone che hanno lasciato il segno nella vita di altre. Esempio per qualche altro individuo, modello da seguire o semplicemente monito per il prossimo.

Life line è una mappa, un’enciclopedia ragionata di vite vissute intensamente. Vite che hanno preso piede in ambienti difficili, che hanno lottato per crescere e farsi strada; vite determinate e caparbie, perseveranti e tenaci nel proseguire un percorso non consueto. Esseri che hanno percorso una strada non battuta, che si sono buttati nell’ignoto impavidamente per dimostrare che si, anche lì c’era una possibilità.

Chiara Pozzobon



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